Verso una fenomenologia del Modello del Sé
Verso una fenomenologia del Modello del Sé: nella diagnosi psicopatologica e nella terapia
Gli autori Anya Daly dell’Università di Melbourne, Australia e Shaun Gallagher dell’università di Memphis, USA, sostengono la necessità di un nuovo approccio diagnostico fenomenologico per la diagnosi e la terapia dei disturbi mentali.
“Questo approccio basato sulle concezioni rappresentative (enactive) (incarnate, incorporate e fenomenologiche) indirizza aspetti quali i tranelli di possibili mis-diagnosi associate alle categorie diagnostiche fisse e gli effetti deumanizzanti delle check-list diagnostiche strutturate, attraverso l’uso di una “diagnosi ricca” centrata sulla “multi-dimensionalità” dell’esperienza vissuta”.
Gli autori identificano il problema del fallimento deli trattamenti storici del “folle” sulla base delle numerose categorizzazioni diagnostiche e delle numerose strategie terapeutiche che sono passate “dall’aiuto compassionevole, a quello ridicolo, al brutale, a quello criminalmente reprensibile, fino all’oppressione politica”.
Protagonisti determinanti della crisi della psichiatria attuale sono indicati gli stessi psichiatri seppur pressati dall’ intera società, dalle organizzazioni sanitarie, dalla politica, dai mass-media. Daly e Gallagher affermano che preoccupati da tale pressione “hanno anche distorto le conoscenze del soggetto psichiatrico, fino a minare l’efficacia della pratica psichiatrica stessa dalla diagnosi fino alla terapia”.
Gli autori come alternativa ai sistemi classificatori medicalizzati, così come il DSM, propongono la possibilità di utilizzare la Pattern Theory of Self (PTS), combinata con i metodi dell’intervista fenomenologica “che fa giustizia ai fenomeni e alle esperienze di vita delle presone che soffrono di esperienze anomale”.
“In breve”, concludono gli autori” l’alternativa proposta evita il riduzionismo biologico e neurologico e la negazione del disagio psicologico soggettivo propria del costruzionismo sociale”…. Una struttura integrata che si focalizza sulle classificazioni descrittive basate sui sintomi (basate sui metodi dell’intervista fenomenologica) associata a una maggiore comprensione del soggetto umano, che incorpori sia le scienze cognitive sia la fenomenologia, potrebbe offrire una soluzione ai problemi della diagnosi e della terapia in psichiatria.”
Da Daly & Gallagher, Psychopathology 2019;52:33-49
Approccio categoriale versus approccio basato sui sintomi
Da Daly & Gallagher, Psychopathology 2019;52:33-49
“Il principale beneficio di una accurata categorizzazione è nella identificazione degli individui che sono pericolosi per sé e per gli altri rispetto agli individui che non lo sono; di coloro che necessitano di una ospedalizzazione o di quelli che sono ben integrati nel contesto sociale. Può avere anche una ricaduta considerevole sui pazienti e sui loro familiari nel ricevere una diagnosi e una possibile terapia. Potrebbe anche essere responsabile, però, anche di una maggior stigmatizzazione del disturbo mentale”.
Le categorie facilitano anche la comunicazione tra i professionisti della salute mentale, sono un mezzo utile e significativo per la appropriatezza dell’intervento farmacologico, per i servizi sociali e sanitari, per le problematiche giuridiche.
Malgrado questi evidenti benefici, esiste nel mondo scientifico una elevata preoccupazione sulla appropriatezza della diagnosi basata sulla categorizzazione, per l’aumento dei problemi di confine, per la presenza della comorbidità e per la amplificazione dei sintomi.
Anche lo stigma può complicare il processo diagnostico, così come il conflitto di intesse quando c’è un “adattamento” della valutazione diagnostica per consentire il paziente ad avvantaggiarsi delle agevolazioni ai servizi sanitari, agli interventi farmacologici, alle assicurazioni e ai fondi per la ricerca.
Tutto ciò può mettere pressione all’intervista psichiatrica non solo pe la inadeguatezza delle classificazioni diagnostiche stesse, ma anche per aspetti etici e morali degli psichiatri.
A queste preoccupazioni si aggiunge il fatto che gli approcci diagnostici categoriali sono stati e possono continuare ad essere oggetto delle pressioni politiche e sociali.
I sostenitori dell’approccio fenomenologico o descrittivo evidenziano la focalizzazione sui sintomi verso informazioni significative e la ridotta suscettibilità a decisioni arbitrarie e a interferenze socio-politiche. Questo approccio può anche identificare alcuni aspetti sintomatologici nelle fasi prodromiche e registrare la narrazione dei contest e delle variazioni nel tempo.
Gli oppositori di questo approccio ritengono, invece, che esso sia superficiale e che non possa evidenziare le cause dei disturbi mentali, di conseguenza i disturbi mentali possono essere solo “band-aid” (tampone) non andando a cercare la causa del disturbo. La classificazione descrittiva basata sui sintomi, inoltre, può essere problematica per gli scopi burocratici, per la clinica e per la ricerca.
Parnas & Gallagher (in Kirkmayer et al., 2015) pongono il problema dell’approccio classificatorio in questo modo:
“L’oggetto psichiatrico è tipicamente disegnato come un obiettivo, una entità causale, afferrabile come esistente “in se stesso” attraverso una prospettiva comportamentista in terza persona e come esistenza indicativa di una disfunzione specifica e fisiologicamente modulare”
Questa semplificazione dell’ “oggetto psichiatrico” e il riduzionismo epistemiologico coinvolti nella Structured Diagnostic Interview come inizialmente stabilito nella stesura del DSM-III per la diagnosi “operazionale”, che esso propone, sono la chiave per la crisi della legittimazione in psichiatria. Questa crisi è evidente nella ricerca delle tradizionali categorie diagnostiche verso i più ampi domini dei costrutti psicopatologici e dei comportamenti verificabile, così come i NIMH Research Domain Criteria (RDoC), criteri che non sono efficaci per i clinici. Il risultato è che i clinici restano incollati alle deficienze valutative della checklist dei criteri del DSM.
Attualmente i sistemi DSM e ICD sono orientati sulla valutazione fenomenologica-descrittiva e su protocolli orientati verso categorie senza fissarle in termini eziologici. Tale positivo cambiamento suggerisce che una ulteriore evoluzione della valutazione diagnostica sia necessaria.
La Teoria del modello del sé
Cosa costituisca il “sé” rimane notoriamente oggetto di contenzioso del campo della filosofia, della psicologia e della psichiatria. Nella storia della filosofia e della psicologia c’è stata l’assunto che il “sé” sia un luogo persistente, unificato e trasparente di esperienze e che fattori esterni del sé incarnato siano contingenti e casuali mentre fattori interni al sé incarnato siano più essenziali e definitivi.
Tradizionalmente, i “disturbi del “sé” sono stati confinati al senso di mancanza di unità e trasparenza. Interessante, al di là dei punti di vista Humeniani e Buddisti, la domanda se ci sia anche una cosa come il “sé” è stata oggetto di studio delle recenti neuroscienze. Metzinger (2010), autore del libro “Il tunnel dell’Io”, afferma che non esiste un sé reale, ma solo un modello generato dai processi neuronali cerebrali. La relazione mente-corpo continua ad essere una questione aperta. Northoff e suoi collaboratori hanno identificato le strutture medie corticali (CSM) come il luogo correlato ai processi auto-referenziali nel cervello. Tuttavia, interpretazioni alternative propongo che non solo il CSM correlato esclusivamente con processi specifici ma che il sé sia “ovunque e da nessuna parte” nel cervello. Ciò significherebbe che il sé non è riducibile a particolari processi cerebrali e che non può essere materia delle neuroscienze. E così, proprio come le teorie locazionistiche della storia della psichiatria che hanno cercato di individuare lesioni cerebrali legate a specifici disturbi mentali sono rimaste impossibili da sostenere, allo stesso modo gli sforzi per trovare correlati neurologici specifici del sé e dei disturbi del sé rimangono elusivi.
Una prospettiva più dinamica, proposta da Fingelkurts e Fingelkuts (2017), evidenzia una correlazione significativa tra la gravità dei sintomi del disturbo depressivo maggiore e l’incremento della connettività in ciascun modulo della rete cerebrale del se-referenziale “contribuendo al un eccessivo self-focus, ad una eccessiva ruminazione e tensione corporea”. Piuttosto che correlati neuronali, gli autori sottolineano che “è importante tenere in mente che i tre aspetti dsel sé individuale (selfhood), indicati da tre modelli operatici [self-focus, self-reflection ed emozioni self-relationed], non sono entità che semplicemente modificano qualcosa che la propria esistenza indipendente, ma invece nell’insieme forma un modello dinamico, che nell’insieme costituisce un complesso sé individuale (selfhood)”.
Il PTS (Pattern Theory of Self) è un approccio pluralistico che include una varietà di aspetti del sé e comprende le preoccupazioni degli approcci interni ed esterni. Sradica la necessità di localizzare un disturbo del sé sia come interno sia come esterno al soggetto, là fuori nel mondo sociale. Secondo il PTS, il sé non è limitato ad elementi interni o esterni; non è solo uno di questi elementi non è semplicemente una lista o una collezione di elementi. Il sé è un modello, una gestalt dinamica, e ciò che è importante è la connettività e le relazioni dinamiche del sé; la PTS non solo chiarisce e dimostra la compatibilità di diverse interpretazioni del sé, ma ha anche il potenziale per essere uno strumento versatile e adattabile per i domini in cui viene applicata, così come la psichiatria. La PTS propone che ciò che chiamiamo sé è costituito da un complesso schema di fattori o di contributi, nessuno dei quali da solo è sufficiente per un particolare sé. Di conseguenza, ciò che chiamiamo “sé” è un concetto di cluster che include un numero sufficiente di caratteristiche per costituire un modello. Secondo la PTS, i sé operano come sistemi complessi che emergono dalle interazioni dinamiche degli elementi costitutivi. Le relazioni dinamiche o le interazioni tra i vari fattori sono importanti per definire il modello come una gestalt dinamica che può cambiare nel tempo. L’elenco di elementi o degli aspetti, che possono assumere diversi pesi e valori in tempi diversi, non dovrebbe essere letto come un semplice elenco, ma come un insieme di relazioni che aiutano a definire un modello dinamico.
Aspetti incarnati | Salute fisica generale e aspetti biologici fondamentali che hanno un effetto diretto sulla propria vita, ad es. SNC, funzionamento autonomo e ormonale, ritmo del sonno, ritmi diurni, così come i processi sensoriali-motori (ecologici) che consentono al sistema di distinguere tra sé e ciò che non è esso stesso, incluso il sistema di riferimento spaziale egocentrico (centrato sul corpo), che fonda una prospettiva in prima persona e contribuisce alle specifiche di possibili azioni nello spazio peripersonale. |
Aspetti esperienziali | Nella misura in cui tali fattori incorporati sono consci, la propria vita esperienziale include una coscienza pre-riflessiva incorporata, caratterizzata dalla prospettiva in prima persona, e i sensi di proprietà (minuziosità) e azione che incorporano varie modalità sensoriali-motorie, come la propriocezione . Questi aspetti, legati ad una prospettiva in prima persona, formano il nucleo esperienziale di ciò che è solitamente chiamato il sé minimo (o auto-consapevolezza minima) |
Aspetti affettivi | Temperamento e disposizioni emotive che riflettono un particolare mix di fattori affettivi che vanno dagli affetti fisici molto basilari e per lo più occulti o taciti alle tipiche espressioni emotive |
Aspetti comportamentali | I comportamenti e le azioni ci rendono ciò che siamo – le abitudini comportamentali riflettono, e forse effettivamente costituiscono, il nostro carattere. Questa è una visione classica che risale ad Aristotele. |
Aspetti intersoggettivi | Inclusa la capacità molto basilare di entrare in sintonia con gli altri trovata nell’infanzia e forme più sviluppate di autocoscienza, per es. un senso di sé-per-altri; un autocosciente riconoscimento di se stessi come se stessi distinti dagli altri, così come il senso di essere parte di un gruppo o di una comunità. Ciò include anche aspetti non-coscienti del sé sociale originati da interazioni intersoggettive / sociali |
Aspetti cognitivi/psicologici | Incluso l’autocoscienza riflessiva, l’autovalutazione, la comprensione concettuale di se stessi, i tratti della personalità. Questi aspetti vengono interpretati all’interno delle teorie dominanti dell’identità personale che puntano alla continuità psicologica, alla memoria e ai resoconti rappresentativi dell’identità |
Aspetti narrativi | Su alcune teorie, i sé sono intrinsecamente entità narrative e per alcuni teorici, le narrative sono costitutive di sé. L’autointerpretazione ha una struttura narrativa e riflette in modo ricorsivo (e spesso rinforza) il modello del sé. |
Aspetti estesi/situazionali/normativi | Ci identifichiamo con le cose che possediamo e con le tecnologie che usiamo, le istituzioni in cui lavoriamo, ecc. Ciò include strutture e ambienti che danno forma a ciò che siamo – come la famiglia, la cultura e le pratiche normative. Tali cose possono essere incorporate nel senso di sé e possono diventare la chiave per l’autoidentificazione. |