Neurofenomenologia
Neurofenomenologia
Negli ultimi decenni la scoperta dei neuroni specchio da parte di Rizzolatti e del suo gruppo (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006) ha avuto un impatto notevole sulla rivalutazione di quel fenomeno complesso che è l’empatia. L’osservazione di un’azione da parte di un soggetto indurrebbe in esso l’attivazione dello stesso circuito nervoso deputato a controllarne l’esecuzione, quindi l’automatica simulazione della stessa azione nel suo cervello. Quindi i neuroni specchio si attivano in maniera automatica sia quando compiamo un’azione sia quando vediamo altri compiere la stessa azione.
Ma noi possiamo allargare l’osservazione dei singoli atti degli individui all’osservazione sociale, fornendo una spiegazione importante del rapporto del singolo con gli altri. L’osservatore comprenderebbe direttamente l’altro, in termini automatici e diretti, grazie alla condivisione di una medesima attività cerebrale, che risiede nella corteccia cerebrale senso-motoria (cioè quella parte della corteccia cerebrale che gestisce la percezione degli eventi e comanda a ai muscoli di muoversi). Rizzolatti afferma che il meccanismo dei neuroni specchio “[…] mostra quanto radicato e profondo sia il legame che ci unisce agli altri, ovvero quanto bizzarro sia concepire un io senza un noi” (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006). L’Io diventa significativo solo in relazione con l’altro, conferendo massimo rilievo all’intersoggettività e alla cognizione sociale.
La comprensione dell’esperienza umana (in breve l’empatia) trova in tal modo una base biologica, neurofisiologica; si realizza l’obiettivo di trovare una base corporea al mentale: la mente incarnata. All’interno di questa posizione, soggetto e oggetto si trovano in una correlazione “fondamentale”, tale da riconoscere come ogni coscienza sia inestricabilmente collegata a quella degli altri. In questo caso l’empatia verrebbe intesa come elemento costitutivo per la genesi della coscienza intenzionale (cioè diretta verso un oggetto, verso l’Altro). La coscienza è un processo emergente dalla relazione reciproca tra il soggetto, il mondo e gli altri.
La scoperta dei neuroni specchio sembrerebbe costituire la conferma empirica del paradigma fenomenologico, mostrando il funzionamento e il ruolo decisivo dell’atto empatico, che secondo questo approccio risulta essere uno degli elementi fondamentali nella costituzione della coscienza.
Ma per cercare di colmare il divario fra cognizione ed esperienza, si pone il problema difficile della comprensione della coscienza con una spiegazione non riduzionista (Chalmers, 1995).
Varela è consapevole che l’esperienza che noi abbiamo di noi stessi (l’esperienza della coscienza) è irriducibile ad una visione oggettiva, riduzionistica, in quanto i dati fenomenici non possono essere ridotti o derivati dalla prospettiva in terza persona, ecco per cui propone l’introduzione di una nuova disciplina, la Neurofenomenologia (Varela, 1996), che vuole essere un rimedio metodologico al problema difficile dello studio della coscienza. “L’approccio fenomenologico, afferma…, parte dalla natura irriducibile dell’esperienza cosciente. L’esperienza vissuta è il nostro punto di partenza” (Varela, 1999) e poi ancora “… si deve, prima o poi, fare i conti con la condizione ineludibile, secondo la quale non abbiamo alcuna idea di come potrebbe essere il mentale o il cognitivo al di fuori della stessa esperienza che ne abbiamo”.
La Neurofenomenologia vuole “sposare la moderna scienza cognitiva con un approccio rigoroso all’esperienza umana”, promuovendo una “scienza in prima persona” (Varela, 1996), con la quale l’osservatore esamina la propria esperienza della coscienza usando dei metodi con i quali è possibile fare delle verifiche scientifiche. Insomma, il tentativo di Varela consiste nel coniugare l’osservazione in terza persona (tipica delle scienze empiriche) con l’analisi in prima persona: l’oggettività con la soggettività.
La neurofenomenologia può essere immaginata come un nuovo metodo scientifico costruito su quei resoconti in prima persona che risultano stabili, non modificati (“invarianti”) dalla discussione tra vari soggetti (“intersoggettivamente”). Da un punto di vista pragmatico, è stato immaginato un metodo neurofenomenologico, che si sviluppa in tre fasi (Gallagher and Sørensen, 2006; Gallagher and Zahavi, 2008).
La prima fase richiede la sospensione delle convinzioni, credenze o teorie riguardo l’esperienza. L’intervistatore pone all’intervistato delle domande aperte riguardo le esperienze, domande prive di qualunque categorizzazione o informazione che potrebbero generare “bias” nella loro interpretazione. In tal modo si tenta di focalizzare l’attenzione sulla propria esperienza consapevole, riducendo il numero delle possibili interpretazioni (l’epochè fenomenologica!). È una forma di introspezione forte, che spinge sulla importanza del vissuto esperienziale a scapito delle possibili interpretazioni.
Nella seconda fase, l’intervistatore si pone l’obiettivo di far acquisire dimestichezza verso il campo di investigazione, oggetto di studio, con un processo in cui tenta di ampliare la consapevolezza del soggetto riguardo le esperienze in questione, assistendolo nell’esplorazione dei suoi vissuti di coscienza (il metodo della seconda persona!). Ciò permette all’intervistato di evocare più facilmente le esperienze pre-riflessive, che sono gli antecedenti di base della prospettiva esplicita del paziente (la riflessione); infatti tali strutture vengono comprese ed interpretate adeguatamente solo attraverso il significato di ciò che viene espresso verbalmente.
Infatti la fenomenologia attuale, andando oltre l’approccio descrittivo di Jaspers, include nella sua indagine le strutture pre-riflessive dell’esperienza (Fuchs, 2010). Alcune esempi, non esaustivi, di tali “categorie fenomenologiche” potrebbero essere la consapevolezza implicita di sé stesso e del proprio corpo, dello spazio e del tempo, del rapporto con gli altri (l’intersoggettività).
In tal modo, l’intervistato potrà avere accesso ad una migliore comprensione di ciò che gli è accaduto, attraverso una vera e propria una intuizione dell’esperienza vissuta.
Poi viene la terza fase, che si dimostra nettamente diversa rispetto alle prime due fasi, in cui il metodo si è focalizzato sull’esperienza privata del soggetto.
La terza fase cerca di “spostare all’esterno” l’esperienza e condividerla con gli altri, ed è di grande importanza nello studio scientifico della fenomenologia, ed è quindi chiamata a offrire descrizioni e a utilizzare validazioni intersoggettive. Le descrizioni raccolte dall’intervistatore sono invarianti, che non mutano, non si modificano nelle differenti analisi: costituiscono delle strutture stabili nella esperienza.
I dati fenomenologici (in prima persona), raccolti con una intervista in seconda persona vengono così correlati ai dati “in terza persona” (i dati quantitativi tipici della ricerca scientifica: dati comportamentali, desunti dal neuroimaging, o dall’elettroenecefalografia, etc).
I risultati, ottenuti con tale metodo, devono essere replicati e infine potranno essere accettati o rifiutati dalla comunità scientifica.
In tal modo il programma neurofenomenolgico può avere successo attraverso le comunicazioni (“necessary circulation”) tra le spiegazioni in prima persona e in terza persona.
Il metodo della neurofenomenologia allarga la nostra attenzione, abbracciando tutto ciò che può essere vissuto, esperito, facendo rientrare in un processo euristico efficace ciascuno dei due momenti costitutivi, quello esperienziale e quello oggettivo. E ognuno di questi due momenti non deve essere scambiato per l’origine assoluta, escludendo altre possibilità.
Tale metodo neurofenomenologico non può essere escluso dai valori e dagli ideali che regolano l’impresa della scienza, ma al contrario li amplifica e li generalizza calandoli nel loro proprio ambito: la vita umana attiva e concreta.
Gianfranco Del Buono
Bibliografia
Chalmers, D. (1995), “Facing University Press to the problem of consciousness”, in Journal of Consciousness Studies, 2,3, pp. 200-19.
Gallagher, S., Sørensen, J. B. (2006) Experimenting with phenomenology. Conscious. Cogn. 15, 119–134.
Gallagher S., Zahavi D. (2008). The Phenomenological Mind: An Introduction to Philosophy of Mind and Cognitive Science. New York: Routledge.
Fuchs T. (2010) Subjectivity and Intersubjectivity in Psychiatric Diagnosis. Psychopathology; 43:268–274
Rizzolatti G., Sinigaglia C. (2006) So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio. Raffaello Cortina, Milano, 2006
Varela F. Neurophenomenology: A Methodological Remedy for the “Hard Problem”, in: «Journal of Consciousness Studies», vol. III, n. 3, pp. 330-349 (trad. it. Neurofenomenologia. Un rimedio metodologico al “problema difficile”, in: M. CAPPUCCIO (a cura di), Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Bruno Mondadori, Milano 2006, pp. 65-93, cit. a p. 85.